Ignazio La Russa ha mai sentito parlare di Hans Schmidt? Se conoscesse la sua storia, forse ci andrebbe più cauto, prima di stupirsi per le polemiche sul suo omaggio ai soldati di Salò e di lagnarsi di «una forma di razzismo culturale» che impedirebbe addirittura di parlare (bum!) a chi è di destra.
Alberto Asor Rosa, anni fa, spiegò benissimo le cose: «Dietro il milite delle Brigate nere più onesto, più in buona fede, più idealista, c’erano i rastrellamenti, le operazioni di sterminio, le camere di tortura, le deportazioni e l’Olocausto; dietro il partigiano più ignaro, più ladro, più spietato, c’era la lotta per una società pacifica e democratica, ragionevolmente giusta, se non proprio giusta in senso assoluto, chè di queste non ce ne sono. Non ce ne importa nulla che i bravi "ragazzi di Salò" non sapessero cosa difendevano, insieme con l’onore della patria. Capita, talvolta, nella storia di trovarsi dalla parte sbagliata».
In quel 1944 in cui i repubblichini affiggevano sui muri manifesti grondanti di croci uncinate («Arruolatevi nella legione SS italiana. L’Italia si riscatta solo con le armi in pugno» oppure «Operai italiani arruolatevi! La grande Germania vi proteggerà! »), Schmidt morì nel nome della democrazia, della libertà, della resurrezione dell’Italia occupata dai nazisti.
Hans era un giovane di trent’anni di Treptow-Köpenick, un municipio berlinese e aveva militato giovanissimo nel partito operaio socialista e socialista era rimasto. Sua moglie si chiamava Else, la figlioletta Eva. I nazisti ne diffidavano. Ma ormai, a guerra persa, mettevano in divisa tutti.
Arruolato come marconista, nel 1944 era a Albinea, a una decina di chilometri da Reggio Emilia, dove l’esercito hitleriano aveva un centro di trasmissioni. Fin dal primo giorno, quel ragazzo che portava il più tedesco di tutti i nomi tedeschi, non aveva avuto dubbi sulla parte con cui stare. Era riuscito a mettersi in contatto con i partigiani italiani, aveva passato loro armi, munizioni, informazioni. Finché, nell’agosto di quel penultimo anno di guerra, aveva messo a punto con altri quattro soldati anti-nazisti un piano per consegnare la postazione militare alla Resistenza.
Non si sa chi li tradì. Fatto sta che poche ore prima del colpo di mano, Hans Schmidt, Erwin Bucher, Erwin Schlunder, Karl-Heinz Schreyer e Martin Koch furono arrestati. Hans ed Erwin furono torturati per ore e ore prima di essere finiti con una pistolettata in faccia.
I loro amici vennero fucilati. «La domenica del 27 agosto fu una giornata silenziosa», avrebbe raccontato don Alberto Ugoletti, parroco di Albinea, «Nessuno poteva avvicinarsi al Comando. Si tendevano le orecchie, si guardava... Alle sei e mezzo del pomeriggio si udirono tre scariche di mitraglia. (...) Scendevano le tenebre quando si posero i cadaveri nella fossa. Prima di ritirarmi mi sono avvicinato al comandante chiedendo se potevo avere i nomi. Mi rispose seccamente di no. Uscendo un soldato mi si avvicinò: domattina ritorni sulla tomba e sotto le zolle troverà dei biglietti col nome. Sono figli di un dio ignoto, prete».
Così morì, insieme coi suoi amici, Hans Schmidt. Il «nostro » Hans Schmidt. In tutta la guerra non aveva sparato un colpo. Un po’ dell’onore tedesco, però, lo salvò lui. E a nessun ministro della difesa di Berlino verrebbe mai in mente di onorare chi, pensando di difendere la Germania, lo torturò a morte.
Gian Antonio Stella(Corriere della Sera, 10.09.2008)
1 solo, povero e solitario commento...
ciao
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