Riporto un brano di Carlo Bernardini, tratto dall'UAAR.
La storia dell’idea di dio è probabilmente la più banale dell’evoluzione della cultura umana. I limiti della percezione sensoriale, combinati con l’occasionalità degli eventi naturali (la morte, il buio, l’instabilità meteorologica, i terremoti e le eruzioni vulcaniche, i fulmini, ecc.) spingono verso la suggestione di un mistero che, essendo extrasensoriale, non ha dimensioni valutabili e, perciò, subisce un processo spontaneo di limite ad infinitum o, comunque, a qualcosa di sovrumano e invincibile che, per antropomorfizzazione istintiva, si spera sia possibile coinvolgere a proprio favore. Dalla primitiva immagine di un dio-motore degli eventi, che si potrebbe addirittura annoverare tra le rappresentazioni scientifiche congetturali (“teorie”) della realtà naturale, si passa all’immagine di un dio-decisore che avrebbe il potere di controllo volontario dei fenomeni e quindi di ogni componente della realtà, umani inclusi: e si passa alla rappresentazione politica della possibile trattativa con lui; nella sua eccezionalità, questa trattativa prende il nome di religione. All’inizio, un ingenuo politeismo segue la molteplicità degli eventi con una molteplicità più o meno specializzata di divinità preposte alle varie circostanze. Ma poi, i burocrati che amministrano il soprannaturale optano per un monoteismo che affida loro l’azione terrena di potere, la riscossione di tributi, la scelta dei rappresentanti e ogni facoltà di giudizio. Nasce il clero monoteista, una struttura sociale organizzata per essere in grado di condizionare con una dottrina codificata i comportamenti umani (i “sacerdoti” delle credenze pagane avevano funzioni molto meno ambiziose di quelle del clero monoteista). Sotto la pesante vigilanza del clero nascono sia, da un lato, le milizie fondamentaliste, sostanzialmente ubbidienti seguaci e spesso delatori che esigono l’osservanza dei dogmi, sia quelle forme di resistenza che propriamente verranno chiamate anticlericalismo.Ancora oggi, molti millenni dopo la nascita di questa deformazione sociale ormai ereditaria, la cultura umana accetterà supinamente la pretesa di una tradizione ingenua ma maggioritaria di relegare l’anticlericalismo tra le manifestazioni disdicevolmente abnormi e il fondamentalismo solo tra i comprensibili eccessi di devozione e obbedienza. Il fondamentalismo sarà particolarmente acuto tra le popolazioni deliberatamente meno acculturate (tra le quali si verificheranno fenomeni di follia violenta come quello dei “kamikaze” suicidi o della schiavizzazione delle donne); mentre l’anticlericalismo sarà perseguibile nei Paesi meno sviluppati e, in quelli più sviluppati, sarà stigmatizzato come segno di arretratezza intellettuale. Dovunque si diffonderanno insegne, divise, simboli, elementi del linguaggio comune, testi e perfino sentimenti che riproporranno capillarmente il problema del rapporto politico con l’idea di dio secondo la concezione dei suoi amministratori locali. L’affermazione della democrazia, della scienza e del libertinismo filosofico moderno dovrà combattere contro un indottrinamento diffuso precocemente (su minori non in grado di intendere e di volere) a cui è insopportabile ogni forma di autonomia del pensiero, dunque ogni logica; le libertà civili dovranno fare compromessi che, anche dove non divengono concordati, dovranno scendere a patti con un sentimento religioso a carattere epidemico contratto già nella prima infanzia e privo di antidoti1.
Alcuni casi d’immunità da questa epidemia serviranno al più a disquisire a vuoto sulle semantiche dell’ateismo, dell’agnosticismo, del laicismo, che accompagneranno il ben più concreto anticlericalismo ormai ridotto a obiettivo desueto. Il potere religioso, detto con astuta suggestione “spirituale”, vincerà su tutta la linea le sue battaglie regionali e produrrà enormi eccidi interregionali. L’unico terreno in cui resteranno spiragli di possibili riflessioni razionali sarà l’antico interrogativo sulla stranezza del carattere locale dei culti, incompatibile con i monoteismi universali, generato dalla scostumata impertinenza del cuius regio, eius religio. Perché Elhoim diventerà Allah e, dopo un banale sdoppiamento verbale, incomincerà a litigare con se stesso? Nessuno degli amministratori religiosi lo spiega.
Ed ecco che, circa duemila anni fa, un genio leggendario, Gesù di Nazareth, sembra capire che, in questo stato di cose, è sempre la “forza fisica” a prevalere, molta gente debole soccombe e il potere oligarchico del clero, al pari di quello del monarca e delle sue truppe, procura a sé vantaggi a prezzo di sofferenze popolari enormi. È una delle prime volte in cui fa la sua comparsa il popolo (se si tralasciano fatti minori come l’apologo di Menenio Agrippa e l’istituzione dei tribuni della plebe). Gesù, in qualche modo, si preoccupa di organizzare una resistenza pacifica ma severa, rendendosi però conto, probabilmente con convinzione, del fatto che la primitiva idea di un dio è irrinunciabile per ottenere il consenso; infatti, dio è una scorciatoia formidabile per garantirsi la piena autorevolezza di fronte alle masse a cui si fanno promesse. Ovvio che Gesù appaia un pericoloso sovversivo sia al clero sia alla potenza occupante: il pericoloso anticlericale (l’aggettivo è più che calzante) fa la fine che sappiamo e, forse suo malgrado, genera però un clero nuovo di zecca al posto di quello degli ebrei, che punta astutamente su Roma, il centro politicamente più importante dell’epoca. C’è chi si adopera per produrre nuovi libri sacri, c’è chi edifica una sede, c’è chi si preoccupa della diffusione e chi dell’amministrazione; c’è anche chi organizza la più remunerativa truffa di tutti i tempi, la “Donazione di Costantino” con cui la “roba” passa saldamente nelle mani di una potentissima oligarchia: nasce la chiesa con i suoi distaccamenti, i suoi presìdi e i suoi ispettori/piazzisti, la curia, le parrocchie, la predicazione; nascono gli strumenti di controllo capillare, la confessione, il battesimo, i sacramenti, il catechismo, l’obbligo di presenza. Il controllo diviene trasparente: i divieti colpiscono le fonti di piacere: il sesso, la gola; gli elogi premiano ciò che spiace: la redenzione premia il dolore, la salvezza eterna premia la castità.
Cambiano così le virtù, si convertono le recriminazioni in preghiere, si raccolgono oboli e lasciti, si legittimano i monarchi (ma si chiudono spesso gli occhi su chi ruba allo Stato, pratica che durerà nei secoli) ottenendone in cambio gratitudine, si benedicono gli eserciti, si occupano posti a lato di potenti, si cerca di sostituire il peccato al delitto, si indottrinano i minori, ecc. In questa marcia al potere che si disaccoppia dalle vicende umane regionali, Maometto si radica ben più intransigentemente del cristianesimo, facendo persino finta d’essere più tollerante. Lontano da lì, più tardi, sia Gotamo Buddha sia Confucio stanno politicizzando a loro modo l’idea religiosa con propositi non dissimili da quelli di Gesù, ma forse più diplomatici con i poteri autocratici: probabilmente, le loro idee appaiono più filosofie che culti anche se, poi, i loro seguaci ne preciseranno la funzione sociale secondo convenienza.
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