mercoledì 18 giugno 2008

Il petrolio finirà presto. Finalmente.


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«Il mondo finirà presto il petrolio estratto a buon mercato...» scrive il professor David Goodstein all'inizio del suo ultimo libro Il mondo in riserva, uscito quasi contemporaneamente in America e da noi (editore l'università Bocconi, 17 euro). Quanto presto? «Durante questo secolo. Ma la crisi vera comincerà in questo decennio».
Goodstein insegna fisica al California Institute of Technology. è simpatico, scrive bene e nel libro racconta di una sua tipica lezione sull'energia in cui fa oscillare nell'aula una palla da bowling appesa a una fune, facendo partire l'oscillazione dal suo naso e senza tirarsi indietro quando la palla gli ritorna addosso: il modo più semplice per mostrare che l'energia si perde lungo il tragitto perché la palla da bowling, al ritorno, si ferma sempre un po' più in là rispetto alla prima volta: cioè a pochi centimetri dalla faccia del professore.
Il libro, assai piacevole, racconta però cose molto poco simpatiche. Dice e dimostra soprattutto questo: che la crisi del petrolio, quella definitiva, è questione di pochi anni, anche se tra pochi anni non tutto il petrolio sarà ancora finito. Ricordiamo che previsioni così catastrofiche, in passato, sono già state fatte. Aurelio Peccei e il suo club di Roma attraversarono gli anni Settanta lanciando continui allarmi sulla fine del petrolio, allarmi a cui si prestava molta attenzione perché in quell'epoca una crisi del petrolio, di origine politica, c'era davvero. Poi vennero gli anni Ottanta, il petrolio non finì, anzi il suo prezzo al barile scese e di quel problema ci siamo tutti dimenticati. Lo stesso saggio di Goodstein, almeno da noi, è finora passato sotto silenzio. Però lo ha stampato la Bocconi e la Bocconi è un'istituzione molto seria. E Goodstein argomenta la sua tesi in modo assai convincente. Vale la pena di starlo a sentire.

Bisogna ammettere che il petrolio è una risorsa finita
Prima di tutto bisogna ammettere che il petrolio è una risorsa finita. Noi parliamo in genere di “produzione di petrolio” e si tratta di un modo di dire certamente scorretto. Nessuna azienda “produce” il petrolio, caso mai ci sono aziende che lo vanno a prendere là dove sta. Dunque non c'è dubbio che a un certo momento questi giacimenti risulteranno asciutti. E che quando risulteranno asciutti o la nostra civiltà si sarà già organizzata con fonti di energia alternativa, o dovrà correre ai ripari in tutta fretta e non si sa se avrà abbastanza tempo, oppure – diciamolo senza patemi – bisognerà che si rassegni a scomparire. Noi associamo il petrolio, in genere, alla benzina e alle automobili. In realtà, non si tratta solo di questo, perché il petrolio, in un modo o nell'altro, sta dietro al 90 per cento di tutti i prodotti derivati dalla chimica organica: la plastica, le medicine, i fertilizzanti per l'agricoltura, eccetera. Inoltre, il petrolio non finirà tutto insieme in un solo giorno. A un certo punto comincerà a essere sempre più scarso e quindi costerà di più. Questo solo fatto, producendo inflazione (e un'inflazione sempre crescente dato che la scarsità sarà nel tempo sempre maggiore), non potrà non provocare sconvolgimenti molto violenti sui mercati. E sconvolgimenti di questo tipo hanno sempre conseguenze rilevantissime sui popoli, che diventano più poveri. Conseguenze politiche, vogliamo dire. Si consideri solo questo dato: il 65,3 per cento di tutto il petrolio esistente sta in Medio Oriente. Tutto quello che accade in Medio Oriente, politicamente parlando, è in qualche modo connesso col petrolio. Che cosa accadrà, nella politica di tutto il mondo, quando il Medio Oriente non avrà più a disposizione – o avrà a disposizione sempre di meno – la sua risorsa fondamentale?
Per noi che siamo vivi adesso, la questione è se il problema ci riguardi. Non abbiamo ancora petrolio per un secolo o due? Non è una faccenda di cui, in definitiva, dovranno occuparsi i nostri nipoti? Goodstein dice di no, che la crisi è prossima e ci riguarda da vicino e argomenta il suo no riferendosi al “picco di Hubbert”, una funzione statistica sconosciuta al grande pubblico, ma con la quale, temo, avremo presto dimestichezza. Spieghiamo subito.
Marion King Hubbert era un geofisico della Shell e negli anni Cinquanta predisse che la quantità di petrolio che poteva essere estratta dai pozzi degli Stati Uniti avrebbe raggiunto il suo massimo (il “picco”) nel 1970, per poi calare rapidamente. Fu preso a ridere, ma nel 1970, effettivamente, gli Stati Uniti estrassero dai loro pozzi nove milioni di barili al giorno, una cifra mai raggiunta prima di allora, e dal 1971 in poi cominciarono invece a estrarre sempre meno petrolio. Oggi la produzione quotidiana è di sei milioni di barili e si sa già che l'anno prossimo, e negli anni successivi, la produzione sarà sempre più bassa. Dunque, relativamente all'America, la previsione di Hubbert è risultata esatta al cento per cento. Ma che dire del resto del mondo?
Lasciamo parlare Goodstein: «Di recente diversi geologi hanno applicato le tecniche di Hubbert ai dati sulla produzione di petrolio del mondo intero. Ognuno di loro ha usato dati differenti, ipotesi di partenza diverse, e anche i loro metodi hanno variato, ma le loro risposte sono state sorprendentemente simili. Molto presto, sostengono, si arriverà al “picco di Hubbert” per il mondo intero: con tutta probabilità in questo decennio. Vi sono geologi che non concordano con questa diagnosi, e i dati su cui si fonda sono oggetto di disputa, ma i seguaci di Hubbert sono riusciti almeno a stabilire un punto fermo: l'offerta mondiale di petrolio, così come quella di ogni risorsa mineraria, cresce da zero fino a un massimo, dopodiché è destinata a calare per sempre».
In poche parole: la crisi mondiale del petrolio arriverà quando avremo consumato la metà esatta di tutto il petrolio disponibile. A quel punto l'offerta comincerà a scendere e il prezzo a salire, e le due curve – una verso il basso, l'altra verso l'alto – non si fermeranno più fino a che l'offerta non sarà arrivata a zero (fine del petrolio, non ce ne sarà più una goccia) e dovremo trovarci l'energia da qualche altra parte.
È naturale, a questo punto, chiedersi quanto era il petrolio disponibile in partenza e quanto ne abbiamo consumato fino ad ora. C'è la risposta a tutt'e due le domande: i miliardi di barili che la natura ha messo a nostra disposizione erano all'inizio duemila. La quantità che non avevamo ancora consumato all'inizio del 2001 era di poco superiore ai mille miliardi. Il picco di Hubbert e la crisi sembrerebbero vicini.
Potrebbe esserci petrolio da qualche parte che non abbiamo ancora scoperto e che allontanerebbe un po' il momento critico? Sì, potrebbe esserci: il Mar della Cina è promettente (ma non eccezionale, secondo i geologi); in Siberia potrebbe esserci ancora qualcosa. Si deve tener conto però di questo: il più grande giacimento mai scoperto è quello di Ghawar Field in Arabia, dove nel 1948 fu trovata una disponibilità di 87 miliardi di barili. Se fossimo però così fortunati da scoprire nel Mar della Cina o in Arabia un giacimento di dimensioni analoghe, il picco di Hubbert si sposterebbe in avanti solo di un paio d'anni.

Che cosa succede se il Terzo Mondo diventa come noi
Bisogna anche considerare che noi ipotizziamo, in tutti questi calcoli, una domanda di petrolio identica all'attuale. Non è naturalmente così: la Cina sta crescendo a grande velocità e consuma sempre più materie prime e, tra queste, petrolio. Il Terzo Mondo vuole le stesse comodità dell'Occidente, spinge per avere energia e l'Occidente intende aiutarlo. Senonché l'uscita dalla povertà del Terzo Mondo passa soprattutto per la capacità di comprare e sfruttare il petrolio. Dunque, il nostro sforzo encomiabile di aiutare il Terzo Mondo passa per la nostra capacità di rinunciare via via ai vantaggi del greggio e per la ricerca di fonti d'energia alternative. Il bello (o il brutto) è che, se anche ci astenessimo dall'aiutare il Terzo Mondo e se lottassimo egoisticamente per mantenerlo nelle condizioni in cui si trova ora, non sfuggiremmo al nostro destino: gli statistici hanno scoperto una correlazione ferrea tra consumo d'energia e fertilità delle donne. E cioè, in ogni popolazione senza eccezioni più alto è il consumo d'energia più bassa è la fertilità femminile. Perciò: o tutti raggiungono il livello economico del Primo mondo, la popolazione non supera i 10 miliardi, ma il consumo di idrocarburi esplode. Oppure, il Terzo mondo resta tale, la popolazione mondiale raggiunge i cento miliardi e la quantità di energia consumata resta sempre la stessa.
Che cosa succederà negli anni successivi al raggiungimento del “picco di Hubbert”? Goodstein traccia due scenari:
«Il peggiore dei casi. Dopo il “picco di Hubbert”, falliscono tutti gli sforzi di produrre, distribuire e consumare combustibili alternativi abbastanza rapidamente da riuscire a colmare il divario tra domanda in aumento e offerta in diminuzione. Inflazione galoppante e recessione mondiale costringono miliardi di persone a bruciare carbone in grandi quantità per riscaldarsi, cucinare e mandare avanti l'industria leggera. La variazione dell'effetto serra che ne consegue cambia il clima della Terra precipitandolo in un nuovo stato ostile alla vita. Fine della storia. In questo esempio, il peggiore dei casi è veramente il peggio del peggio.
«Il migliore dei casi. Le turbolenze che seguono il raggiungimento del “picco di Hubbert” danno la sveglia al mondo intero. Un'economia basata sul metano riesce a fronteggiare nel breve periodo il divario tra domanda e offerta di petrolio, mentre si costruiscono nuove centrali nucleari e si diffondono le infrastrutture per lo sfruttamento di combustibili alternativi. Il mondo legge con ansia sulle prime pagine dei giornali le stime sui picchi di Hubbert per l'uranio e gli scisti».
In altri termini: «Questo è il secolo in cui dobbiamo imparare a vivere senza combustibili fossili. O saremo abbastanza saggi da farlo prima di esservi costretti, o dovremo farlo per forza quando gli idrocarburi cominceranno a scarseggiare. Un modo di raggiungere l'obiettivo sarebbe di tornare allo stile di vita del Settecento, prima che iniziassimo a sfruttare combustibili fossili a tutta birra. Ciò però comporterebbe, fra le altre cose, l'eliminazione di circa il 95 per cento della popolazione mondiale. L'altra possibilità è escogitare un modo per far andare avanti una civiltà complessa simile a quella che abbiamo oggi, ma che non faccia uso di combustibili fossili».
Pensiamoci, perché prima o poi accadrà.

Tratto da "La macchina del tempo, Ottobre 2004"

1 solo, povero e solitario commento...


stefanodilettomanoppello ( 18 giugno 2008 alle ore 21:34 )

se il petrolio finisce io in cosa inzuppero i biscotti la mattina??


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